Pasqua, al Serafico il Vangelo si fa ‘servizio’: medici e terapisti lavano i piedi ai ragazzi con disabilità

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È nella concretezza dei gesti, più che nelle parole, che al Serafico di Assisi il Vangelo prende forma. E nei giorni che preparano la Pasqua quel gesto si fa ancora più essenziale e profondo attraverso la Lavanda dei piedi, compiuta da medici, terapisti e operatori, e dalla Presidente del Serafico, Francesca Di Maolo, ai ragazzi con disabilità dell’Istituto.

La celebrazione, inserita nel cammino liturgico della Settimana Santa, si è svolta come ogni anno nella cappella del Serafico, luogo di preghiera e di comunione quotidiana. Ed è stato un momento sobrio, vissuto in silenzio e raccoglimento, che rinnova il gesto di Gesù nell’Ultima Cena e restituisce pienamente il senso di ciò che significa ‘servire’ l’altro con rispetto e umiltà. Protagonisti del rito non sono stati soltanto coloro che hanno compiuto il gesto, ma soprattutto i ragazzi che lo hanno ricevuto: “Con la lavanda dei piedi rinnoviamo il nostro impegno nel servizio, è un modo per confermare il nostro sì alla vita” ha spiegato Francesca Di Maolo. “Questa – ha aggiunto Di Maolo – non è una parentesi rituale, ma racchiude tutto il significato del nostro servizio quotidiano, perché ogni giorno gli operatori del Serafico curano, lavano, vestono, sostengono, consolano. Oggi ricordiamo a noi stessi che le nostre mani sono al servizio di un amore più grande. In questo mondo travolto dalle guerre ci auguriamo che oggi si possa riflettere sull’immenso valore di ogni vita umana”.

Il Serafico, infatti, ogni giorno si prende cura di bambini e giovani adulti con disabilità gravi e gravissime, accompagnandoli in percorsi educativi, sanitari e spirituali costruiti intorno alla persona. Qui la liturgia non è qualcosa che si aggiunge alla vita: ne è espressione diretta, capace di dare forma anche alla fragilità senza escludere nessuno. Nel gesto della Lavanda dei piedi, vissuto da chi quotidianamente si prende cura dei ragazzi – medici, operatori, educatori – c’è un messaggio forte: la cura non è solo professione, ma è soprattutto relazione fatta di rispetto e responsabilità condivisa, che trova il suo posto naturale nella fede e nella responsabilità per la vita dell’altro.